Non potevo non cominciare dalla mia specializzazione accademica...
ZOOMUSICOLOGIA
La zoomusicologia è una della branche più recenti della musicologia. Dai punti di vista terminologico e concettuale, la sua nascita è chiaramente databile 1983, grazie alla pubblicazione del saggio Musique, Mythe et Nature di François Bernard Mâche, tuttavia gli studi definibili pseudo- o proto-zoomusicologici hanno una lunghissima storia.
Definizione
Secondo Dario Martinelli (2002), la zoomusicologia studia “l’uso estetico della comunicazione sonora presso gli animali”. Le implicazioni di tale definizione sono numerose. Per cominciare, si fa a meno di usare la parola “musica”, sostituendola con l’altrettanto pericolosa – ma un po’ più plausibile – “estetica”. Questo perché, da un lato, l’espressione “estetica” costituisce una premessa metodologica, mentre il concetto di “musica” è un vero e proprio fine teorico; e dall’altro, il riconoscimento di attività estetiche negli animali non umani è nelle scienze naturali ben più radicato del riconoscimento di attività espressamente musicali. Secondariamente, l’uso dell’espressione “comunicazione sonora” esplicita una chiara appartenenza della zoomusicologia al ramo semiotico della musicologia, ovvero all’idea di base secondo cui la musica è un fenomeno non solo introcettivo, ma anche e soprattutto estrocettivo. Nel parlare di “uso” estetico, si palesa un’interpretazione piuttosto darwiniana del fenomeno musicale e artistico in generale. Arte come qualcosa di funzionale, di utile (spesso ‘socialmente’ utile), a suo modo di laico (che rinunci, ovvero, al credo trascendentalista). Per finire, parlando di “animali”, e non di animali non umani, si intende sottolineare la possibilità di un’applicazione della zoomusicologia anche alla specie homo sapiens, secondo un principio che non si discosta molto dagli studi di etologia umana.
Paradigma scientifico
Come secondo passo, ci si potrebbe interrogare sulla ragion d’essere della zoomusicologia. Perché esiste, a quali conseguenze o conclusioni conduce, cosa intende mettere in discussione, e via discorrendo. Come dichiara lo stesso Mâche, «se si confermasse che la musica è un fenomeno esteso anche a specie animali che non siano l’essere umano, questo metterebbe fortemente in discussione la definizione di musica, nonché quella dell’essere umano e della sua cultura, come anche l’idea stessa che abbiamo degli animali». Un’affermazione di questo tipo porta ad alcune riflessioni. Prima di tutto, zoomusicologia significa analizzare con interfaccia umanistica fenomeni che finora si erano considerati unicamente appannaggio delle scienze biologiche, e – contemporaneamente – incorporare nelle scienze umane una serie di argomenti e contenuti provenienti dalla biologia e che molto spesso le prime si sono rifiutate di considerare. In secondo luogo, adottare un paradigma zoomusicologico significa evidentemente mettere in discussione le correnti definizioni di musica, a cominciare dalla loro forte connotazione antropocentrica. Allo stesso tempo, è l’intera concezione della dicotomia natura-cultura a dover essere rivista con attenzione. Soprattutto, ci si dovrebbe chiedere – come già fece Charles Sanders Peirce parlando di sinechismo – se ha ancora senso considerarla una dicotomia. Infine, in un ambito più etico, la zoomusicologia, insieme ad altre discipline, testimonia degli incoraggianti progressi compiuti nel campo dello studio degli animali non umani. Con un po’ di ottimismo, si può sperare che i fuorvianti estremismi del meccanicismo e del behaviorismo più radicali subiscano un tale ridimensionamento da consentire una percezione ed interpretazione più appropriate del regno animale.
Cenni storici
Curiosamente, la storia della zoomusicologia è ad un tempo breve e lunghissima. Se è vero che il conio del termine ed un primo tentativo di analisi si devono a Mâche, durante gli anni ’80 del XX secolo, è altresì vero che dissertazioni (in genere speculativo-erudite) sulla musica degli animali non umani risalgono ad un passato molto remoto. Già presso i pensatori Greci e Romani (in particolare Democrito, Lucrezio, Plutarco e Plinio il Vecchio) si trova frequente riferimento all’idea secondo la quale gli animali (soprattutto gli uccelli) sarebbero stati gli autentici inventori della musica, e che gli esseri umani l’avrebbero semplicemente da questi appresa o imitata. La forte negazione di tale speculazione fornita da quell’aneddoto biblico della Genesi, nel quale sarebbe stato Iubal, figlio di Lamech, ad essere “padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto”, dà il La ad una lunga discussione sulle origini della musica, che vede coinvolti (in diversi momenti e secondo diverse modalità e proporzioni) Montaigne, la Camerata Fiorentina, Vincenzo Galilei, Francisco Salinas ed altri decisamente meno noti. Per tutti, favorevoli o contrari, l’ipotesi zoomusicologica è un’ipotesi da prendere seriamente in considerazione. Durante il XVII secolo sono soprattutto due le figure a ritagliarsi uno spazio particolare: John Locke, che nel suo Essay Concerning Human Understanding menziona sia la componente estetica che quella intellettiva del canto degli uccelli, e soprattutto Athanasius Kircher. È a lui che si deve il primo vero e consistente antenato di analisi zoomusicologica, all’interno della Musurgia Universalis (1650). Per tutto l’illuminismo e parte del Romanticismo, il dibattito sulle origini della musica (con tutte le sue implicazioni zoomusicologiche) entra nel vivo, attraverso figure come Reimmann, Gresset, Mattheson e Sulzer, ma è senz’altro John Hawkins, nel suo A General History of the Science and Practice of Music (1776), a segnalarsi come uno dei più importanti proto-zoomusicologi. Da Charles Darwin in poi, e soprattutto dopo la pubblicazione di The Descent Of Man (1871), non ha più troppo senso parlare di proto-zoomusicologia, soprattutto perché lo sguardo scientifico verso gli animali non umani è cambiato radicalmente. Il terreno su cui edificherà la zoomusicologia è reso fertile non solo dalla semiotica e dalla musicologia (soprattutto l’etnomusicologia, con la quale la zoomusicologia ha non poco in comune, in termini ideologici e metodologici), ma anche – talvolta soprattutto – dall’etologia cognitiva, dalla zoologia e dalla bioacustica.
La zoomusicologia oggi
Tracciare un bilancio di una disciplina poco più che ventenne e ancora in fase di definizione è ovviamente arduo. Le pubblicazioni esplicitamente zoomusicologiche sono pochissime; non è stato ancora organizzato un convegno che permetta agli addetti ai lavori di conoscersi e riconoscersi; e infine è stato finora istituito un solo corso accademico (presso l’Università di Helsinki) che abbia l’esplicita etichetta zoomusicologica (con questo si vuole anche dire che riferimenti più o meno specifici alla comunicazione estetica degli animali non umani non sono evento raro nella ricerca e didattica universitarie). Così, ancora una volta, la zoomusicologia è costretta a guardarsi attorno per arricchire il proprio bagaglio scientifico. Saggi di etologia che accettano l’ipotesi musicale applicata a specie non umane fioccano ormai a decine. Lo svedese Nils Wallin ha istituito una disciplina chiamata biomusicologia, nella quale ci si è occupati sia della basi neuro-fisiologiche del fenomeno musicale (Biomusicology, 1991), sia di aspetti filogenetici (The Origins Of Music, 2001). Altri, come Murray-Schaefer (1985), sono consapevoli dell’esistenza di un “paesaggio sonoro” che include anche le specie non umane. Diversi musicisti, tra cui vanno citati almeno Jim Nollman, Shinji Kanki e David Rothenberg, hanno instaurato – con apparente successo – dialoghi musicali con cetacei ed uccelli. Gli zoomusicologi per così dire dichiarati appartengono invece all’ultima generazione di studiosi, tra i quali si possono citare Dario Martinelli (Helsinki) e Emily Doolittle (Princeton). La costante crescita di interesse verso questa disciplina fa senz’altro ben sperare per il suo futuro.
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1 comment:
Ciao, quello della zoomusicologia è un argomento che mi aveva sempre affascinato, già all'epoca della mia tesi (1996) avevo scritto a vari autori su notizie di "musica" negli animali... tutti negarono di avere informazioni, poi invece uscì "The origin of Music", proprio ad opera degli autori che avevo contattato. Bella trovata, eh?
Se hai pubblicato libri su questo argomento, mi piacerebbe moltissimo saperlo, almeno per poter continuare le mie ricerche.
Grazie e buona giornata,
Mac
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