Otto nastri d'argento, sei David di Donatello, quattro Bafta, un Leone d'oro e una caterva di altri riconoscimenti. Ma la dannata statuetta dell'Academy mai. Una maledizione. Come Wimbledon per Ivan Lendl, Bologna per Federico II e l'italiano per Luca Giurato.
Nomination nel 1979 per "I giorni del cielo", nel 1987 per "Gli Intoccabili", nel 1988 per "Mission", nel 1992 per "Bugsy" e nel 2001 per "Malena". Mai un "The winner is...", anche quando sembrava ovvio, anche quando sembrava dovuto.
Fino al prossimo febbraio, quando per Ennio Morricone arriverà la statuetta più malinconica, o più significativa, secondo come la si guarda. Un oscar alla carriera, per il più grande compositore italiano vivente (e non accetto contraddittori).
Malinconica, se si pensa ai 78 anni del maestro, alle tante volte in cui gli hanno preferito un Alan Menken qualsiasi (santo cielo, avete presente quello della Sirenetta e della Bella e la Bestia? Beh, l'ha vinto quattro volte. Praticamente sempre con la stessa partitura), o ai tanti capolavori dispersi in filmetti troppo di serie B, (con titoli improbabilissimi, tipo "Sai cosa faceva Stalin alle donne?"), o troppo di serie A per l'Academy (e qui la sineddoche è "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto").
Significativa, se si pensa che in un Oscar alla carriera c'è un pezzettino di tutto. Un pezzettino dello Scion Scion di "Giù la testa", del coyote de "Il buono, il brutto e il cattivo", delle quattro note magnificamente ridondanti di "Novecento, la leggenda del pianista sull'oceano", del crescendo frammentario di "Le vent, le cri" (da “The professionals”, per chi se lo ricorda), e di tutto il resto. E il resto sta per oltre 400, e riscrivo quattrocento come negli assegni, colonne sonore.
Forse c'è anche un pochino del suo lavoro di compositore colto, di autore e/o arrangiatore di canzoni pop ("Se telefonando è la più grande canzone italiana del dopoguerra". E se lo dice Franco Fabbri...), e di compositore per la televisione (so che vi frega tra 0 e 0,5, ma una delle ragioni per cui oggi sono musicologo è il suo tema, intitolato "Le train", per uno sceneggiato televisivo, che da piccolo mi commuoveva fino alle lacrime).
Morricone l'ho incontrato di persona, lo scorso settembre: è stato ospite d'onore del Congresso Internazionale sulla Significazione Musicale, che quest'anno si è tenuto a Roma. Mi è spettato l'onere e l'onore di tradurre il suo intervento in inglese, e di moderare il dibattito con i miei colleghi. Per capirci, lo guardavo come Fede guarda Berlusconi. E scusa Ennio per il paragone (giacchè ci sono, mi scuso anche con me stesso).
Varie cose mi hanno colpito di lui in quella occasione: innanzitutto la timidezza, una timidezza costantemente riduttiva dei suoi meriti e quasi ostile nei rapporti interpersonali.
Poi, la simbiosi tra quest'uomo e la musica. Morricone la musica la respira, non ne può fare a meno. Se cita un tema, anche strafamoso, tipo appunto "Il buono, il brutto e il cattivo", che conoscono persino i ragazzini che lo usano come suoneria dei loro telefonini, sente la necessità di canticchiarlo o fischiettarlo, hai visto mai non sappiamo di che parla. Immaginatevi Schultz che cita Charlie Brown e poi fa uno schizzo sulla lavagna luminosa.
Terzo, Morricone non bara, nello spiegare la sua musica. Musicologi e critici musicali ne hanno le scatole piene di compositori e cantautori che fingono di non sapere cosa ci sia dietro la loro musica, che si appellano al magico e al trascendentale, e che rifiutano analisi anche blande del proprio lavoro. Morricone è (god bless him) l'opposto. Ti dice tutto di come nasce un tema, di come si sviluppa e delle idee che lo fondano.
Ah, già. E te lo canticchia pure.
Quarto, il suo modo di comporre. Una razionalizzazione dei sentimenti, e - soprattutto - un gioco di regole. Morricone si siede al suo pianoforte per comporre, e, per prima cosa, sparge qua e là dei piccoli handicap, si impone delle micro-sfide creative per rendere il lavoro più interessante. Esempio. Adesso faccio un tema utilizzando tre note in tutto, e - non bastasse - per gradi congiunti (ovvero, una dopo l‘altra, senza salti). Voilà: ecco nascere il - superbo - tema di "Metti una sera a cena" (avete presente? Voce femminile che canta suadente su ritmo di Bossa Nova. E, appunto, tre note in tutto, e per gradi congiunti).
Quel giorno, al congresso, Gillo Pontecorvo era ancora vivo, e una delle domande che posi a Morricone era se fosse poi vero quell’aneddoto che circolava sulla preparazione della colonna sonora della “Battaglia di Algeri” (che, come alcuni ricorderanno, fu co-firmata dai due). Lui si schernisce ancora (benedetta timidezza) e poi, come se dovesse canticchiare il tema di turno, ci ripete quell’episodio. Tutto vero. I due stanno lavorando alla partitura da parecchio tempo ormai, e proprio non riescono a trovare un accordo. Pontecorvo boccia le proposte di Morricone, e Morricone restituisce il favore. Un bel giorno, convinto di aver finalmente trovato il bandolo della matassa, Pontecorvo si reca da Morricone fischiettando la sua nuova idea. Morricone, che a quel tempo abita in un appartamento al secondo piano, riesce a sentire l’amico prima che questi salga le scale. Forte del suo orecchio assoluto (non è un‘iperbole: è la capacità di intuire una tonalità senza punti di riferimento. Ce l‘aveva anche Mozart), il nostro corre al piano, e trascrive subito quel tema su uno spartito.
Arriva il regista. Il dialogo (più o meno):
GP (pisano): Oh, Ennio. Stavolta ci ho un tema 'he non mi poi rifiutare
EM (romano): Momento! Te faccio sentì prima er mio.
Morricone esegue un perfetto ricalco su piano di quello che Pontecorvo stava fischiettando sotto casa.
GP: Maremma bonina! Oh home tu ha fatto? Ti si stava per proporre la stessa hosa. Te tu ci avrai miha la telepatia?
EM: Ahò, ma che telepatia! Te credo. So' mesi che lavoriamo a 'sta cosa, ormai ci abbiamo le stesse idee.
Ecco. L'oscar Morricone l'avrebbe meritato sin dai tempi della Battaglia di Algeri. Era il 1966. Quell'anno il maestro lavorò a 11 film complessivamente, e tra questi c'erano - scusate se è poco - "Il buono, il brutto e il cattivo" e "Uccellacci e uccellini". E non è neanche il suo record, che stabilì due anni dopo lavorando a 28, e dico ventotto, pellicole.
A uno così che je dai? Un oscar? Uno solo?
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