Altra voce per Wikipedia... questa volta si tratta del mio musicologo preferito (nonchè caro amico)
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Franco Fabbri (nato a San Paolo, Brasile nel 1949), musicista e musicologo. Franco Fabbri è stato dal 1965 chitarrista, cantante e compositore negli Stormy Six, uno dei più interessanti gruppi del progressive italiano, nonchè uno dei più amati dalla critica specializzata (nel 1980, il gruppo ricevette un Premio della critica discografica tedesca, come miglior disco rock dell'anno, davanti ai Police). Oltre agli otto album con il gruppo, Fabbri ha inciso anche lavori di musica elettronica e sperimentale.
Come musicologo, Fabbri ha pubblicato saggi sul rapporto tra musica e tecnologia (Elettronica e musica); sulla musica come fenomeno a 360 gradi (Il suono in cui viviamo, di recente ristampato e ampliato per i tipi dell’Arcana), sull'analisi della canzone (in Fabrizio De André. Accordi eretici e Mina. Una forza incantatrice e nell'Enciclopedia della musica Einaudi), e sui generi musicali, pubblicati in vari libri e riviste internazionali.
Fabbri insegna attualmente all’Università di Torino, è stato chairman della IASPM (International Association for the Study of Popular Music), fa parte della redazione di "Musica/Realtà" e del comitato scientifico della collana "Le sfere", ed è stato uno dei conduttori storici del programma "Radio Tre Suite". Franco Fabbri è senza dubbio uno dei migliori musicologi italiani. In un panorama accademico come quello italiano, dominato da musicologi tradizionali e tradizionalisti, reazionari e conservatori, che si oppongono con anacronistico impegno all’idea che esistano anche altre forme di musica oltre a quella cosiddetta colta, che in musica esista anche una tradizione orale, che anche nei paesi non occidentali si faccia musica, che anche le donne la facciano, che anche gli strati sociali più popolari possano dire di e fare musica, Fabbri è uno dei pochi a ricordarsi e a far presente che la musica, oltre ad avere un passato, abbia anche un presente ed un futuro. In questo senso, Fabbri merita un posto accanto a Roberto Leydi, Gino Stefani, Francesco Giannattasio, e tutti gli altri (non tantissimi) che hanno contribuito a svecchiare la vecchissima musicologia italiana.
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