Saturday, June 04, 2005

TELADOIOLAFINLANDIA - Dei trasporti pubblici

PREMESSA PER GLI OUTSIDER: Se un giorno vi capiterà di passare per la Finlandia e di prendere un autobus, noterete, con una certa brutale celerità, che gli autisti sono degli esaltati.

Il pezzo è stato scritto quando ancora vivevo a Vantaa (la città dell'aereoporto, a pochi km da Helsinki)

Il disegno è del bravissimo vignettista della Rondine, Aras Jarjis.

***

Vivo a Vantaa.

Non è malaccio, in fin dei conti. Il fatto che Vantaa sia la porzione più proletaria del territorio di Helsinki mi riconcilia con le mia mai rinnegata e rinnegabile appartenenza sociale, e in più sono in mezzo al verde e a cagnoni mastodontici, portati a spasso da esseri umani il più delle volte altrettanto prestanti.

C'è solo un problema.

Devo prendere l'autobus per tornare a casa.

La cosa non è grave di per sé. È grave in rapporto al tempo (circa 25 minuti di viaggio) trascorso in uno dei più formidabili sistemi di tortura ideati in una terra protestante. Non so se siete mai saliti su un autobus finlandese, di quelli extra-urbani, ovvero di quelli che hanno la possibilità di fare un tratto di autostrada (che andrebbe già ribattezzata "rettilineo", per una correttezza terminologica che chiarirò tra un attimo). Se non vi è mai successo, il mio suggerimento è quello di fare di tutto perché non vi accada mai.

I conducenti di questi autobus, infatti, sono cresciuti nel mito di Keke Rosberg. I più giovani sono stati tirati su a pane e Häkkinen, mentre i promettenti risultati di Räikkönen di questo inizio stagione stanno già ponendo inequivocabili basi per la prossima generazione.

I conducenti degli autobus finlandesi vanno veloci e praticano la guida sportiva. Inchiodano quando frenano e schizzano quando ripartono. Coprono in venticinque minuti un percorso che una Lamborghini coprirebbe in trenta. Considerano il loro autobus dotato della stessa potenza e affidabilità di un veicolo di Formula Uno. Solo più veloce.

Palpabile è la frustrazione di quelle auto di grossa cilindrata superate in velocità sul (per l'appunto) rettilineo di un'autostrada da questi fulminanti parallelepipedi su ruote. Nemmeno la pioggia sembra spaventarli: pare anzi che - analogamente alle Ferrari - traggano vantaggio dalle piste bagnate. Si capisce inoltre che le fermate vengono intese con il medesimo spirito dei pit-stop. Prima si fa, meglio è. E soprattutto, meno sono, meglio è.

Indico qui di seguito le principali implicazioni di un tale atteggiamento:

1) Spesso e volentieri (soprattutto volentieri), gli autobus giungono alla fermata di turno con un anticipo di almeno tre-quattro minuti, il che è perfettamente sincronizzato con le esigenze del viaggiatore invernale, il quale compie significativi sforzi di ragioneria per raggiungere la fermata non troppo in anticipo rispetto all'orario di passaggio previsto, al fine di non congelare nell'attesa. L'utente arriva alle 18:07 laddove si aspetterebbe di salire su un autobus alle 18:10, per poi scoprire alle 18:30 che il suo autobus era passato alle 18:06. Se poi Murphy ci mette del suo, l'autobus delle 18:30 è in ritardo, consentendo così all'utente di completare con disinvoltura il processo di ibernazione, che per l'appunto - a gennaio - richiede poco più di venti minuti;

2) Nel salire sulla vettura, l'utente deve prestare massima attenzione a non salire per ultimo. Non certo per ragioni scaramantiche. È infatti convinzione del conducente che il segnale per ripartire non sia il "tutti si sono seduti o per lo meno accomodati", come ragionevolmente ci si potrebbe aspettare, bensì il più sbrigativo "tutti sono saliti e muniti di biglietto". La corsa riprende nello stesso istante in cui l'ultima persona della fila ha esibito il titolo di viaggio. Per i primi utenti saliti, la cosa non rappresenta un reale problema. I problemi cominciano dal terz'ultimo, che riesce a sedersi un nanosecondo prima che il conducente affondi il piede destro sull'acceleratore; continuano con il penultimo, che fa in tempo a tuffarsi sul primo sedile disponibile (è il motivo per cui, educatamente, i finlandesi occupano per primi i posti vicino al finestrino); e, fatalmente, si concretizzano per l'ultimo, che è solitamente spacciato. Avverte l'onda d'urto della ripartenza, compie il tragitto dall'entrata fino alla metà dell'autobus in tre passi di due metri e mezzo l'uno, travolge una carrozzina ivi parcheggiata, utilizza il primo supporto a disposizione come perno, ruota a 270 gradi e si accomoda sulle ginocchia di un altro passeggero, al quale rivolge un rituale "Voi anteeksi", che pare significhi "trovo le Sue ginocchia particolarmente confortevoli". Per lo stesso principio

3) L'utente - che sia ultimo o no a salire - è caldamente raccomandato di rintracciare il proprio titolo di viaggio prima di salire sull'autovettura. Va da sé che - sempre in inverno - questa operazione costa solitamente il congelamento della mano destra, in quanto - per frugarsi nelle tasche - è necessario estrarla dal guantone da sci. Il rischio di amputazione dell'arto è però assolutamente insignificante rispetto alla prospettiva di dover cercare il biglietto DOPO essere saliti. È uso del conducente, infatti, ripartire PRIMA del controllo del biglietto, qualora l'espletamento di quest'ultima attività vada per le lunghe. Motivo ricorrente (e a suo modo scena madre) di un qualsiasi viaggio in autobus è il signore o la signora che non trova il biglietto, e che necessita di visitare il contenuto delle proprie tasche (almeno sei sul giaccone da neve, quattro sui pantaloni, e quando va male ce ne sono pure altre due sulla giacca) dalle due alle tre volte (dunque 24-36 tasche in tutto). Alla terza tasca, il conducente ha già deciso che il passeggero di turno gli sta facendo perdere troppo tempo. Riparte (con sgommata). È qui che il nostro passeggero ci offre un ritratto coreutico discretamente credibile dei mai troppo criticati anni '80: comincia a ballare la breakdance. Le 21 (o 33) tasche rimanenti vengono esplorate in condizioni di equilibrio che definire precarie è altrettanto eufemistico che definire parziale il TG4. I passi dell'utente seguono con inappuntabile fedeltà le vicissitudini cinetiche dell'autobus, a cominciare dagli interminabili rinculi delle frenate. Gli altri passeggeri assistono imperturbabili, ma il crescente pathos per le sorti del malcapitato è palese. Dopo sei fermate, qualche decina di frenate e conseguenti rinculi, un Kehä imboccato senza scalare le marce, e punte massime di 210 all'ora, il titolo di viaggio viene finalmente rintracciato: come sempre era nella prima tasca, sfuggito per la fretta nel primo giro, e vigliaccamente nascostosi dietro le coinquiline Salmiakki nel secondo. L'utente, sudato come uno squalo ma trionfante come Tardelli contro la Germania, esibisce il lembo di carta al conducente e affronta la fase già descritta al punto 2 di questo breve compendio.

Inutile dire che, per chi come me soffre di cinetosi, tutto questo è una specie di punizione divina, inflitta per peccati che sicuramente ho commesso, ma che mai mi sarei aspettato di scontare in questo modo.

2 comments:

Anonymous said...

Letteralmente piangevo dalle risate. Simpaticissimo racconto!!

Anonymous said...

Ommadò. Ricordati che ti adoro!
Adoro la tua capacità di farmi ridere fino alle lacrime!
Sei "assolutamente" uno dei migliori comedians che io conosca!